2015

giovedì, ottobre 29, 2015

5 film italiani contemporanei da guardare su Netflix


Potevo mai farmi mancare il primo mese gratuito di Netflix, da vera #poraccia quale sono? Certo che no, sono corsa a spulciare il catalogo e nonostante per ora non sia ancora molto fornito, ci sono tanti film che vale davvero la pena vedere. Si vai da film indie americani ai film d'autore anche europei (ho notato roba di Von Trier, Vinterberg e Refn) e c'è anche una discreta quantità di film nostrani. Questi sono quelli che io ho già visto e che vi consiglio.

1) ACAB - All Cops Are Bastards (Stefano Sollima) ½
Di ACAB ne ho già parlato superficialmente nella recensione di Suburra e se non si fosse già capito va assolutamente visto perché Sollima è uno dei migliori registi del panorama italiano al momento, nonostante io creda che renda molto di più quando gira serie tv (Gomorra, Romanzo Criminale) perché ha tutto il tempo di sviluppare i personaggi e di farli interagire tra loro. 
Il film si incentra su tre agenti antisommossa interpretati da Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro e Marco Giallini e sulla nuova recluta, interpretata da Domenico Diele, che si ritrova a fare i conti con la violenza del suo nuovo posto di lavoro. Ci viene mostrata la loro quotidianità e vita familiare fatta di situazioni svariate e pesanti dove l'unico sfogo è appunto un lavoro fatto di rabbia e aggressività. 
ACAB non mi ha entusiasmata quanto gli altri lavori di Sollima ma sia chiaro, il livello è sempre altissimo: la regia è curatissima e i personaggi così credibili da essere detestabili. Citando una recensione che ho letto: se alla fine vi ritrovate a tifare per loro, dovreste farvi al più presto un esame di coscienza. 

2) Il Divo (Paolo Sorrentino) ½
Sorrentino non ha bisogno di presentazioni. Il Divo non è altro che la storia di Giulio Andreotti, interpretato da un magnifico Toni Servillo, il tutto coronato da scenografie e riprese bellissime. Insomma, veramente volete dire di no a Sorrentino?

3) Reality (Matteo Garrone) ½
Ormai neanche più Garrone ha bisogno di presentazioni: partito con film che hanno suscitato poco interesse di pubblico e critica, è poi scoppiato con Gomorra ed ha raggiunto l'apice quest'anno con Il Racconto Dei Racconti. Reality si trova in mezzo a questi due ed è anche il mio preferito in tutta la filmografia di Garrone se non uno dei miei film italiani preferiti in assoluto.
Un uomo napoletano decide di tentare la fortuna partecipando alle audizioni per il Grande Fratello: da lì si convince che i produttori del programma lo stiano seguendo e spiando dappertutto e ne diventa così ossessionato da mandare la propria vita a rotoli. Una riflessione profonda sul come la fama e l'apparire ci condizionino in qualsiasi cosa, con quel pizzico di ansia e inquietudine di cui Garrone non sa proprio fare a meno (e che a me piace tanto).  

4) È Stato Il Figlio (Daniele Ciprì) 
È Stato Il Figlio è una tragicommedia carinissima ambientata a Palermo negli anni 70, tratto da una storia realmente accaduta. 
Una bambina viene colpita erroneamente da un proiettile e muore. La famiglia, che economicamente non se la passa tanto bene, ottiene il risarcimento per le vittime di mafia e dopo varie peripezie decidono di investirlo in... una Mercedes, che porterà la famiglia alla rovina.
Io trovo lo stile di Ciprì davvero adorabile, per fotografia, scenografia e personaggi mi ricorda vagamente Wes Anderson: è tutto un po' sopra le righe, vintage e grottesco. E il personaggio principale è interpretato da Toni Servillo, che mi sembra da solo una ragione per vederlo.

5) Miele (Valeria Golino) ½
La protagonista di questo film è Jasmine Trinca, che sotto il nome di Miele aiuta i malati terminali con il suicidio assistito. Quando le chiederà aiuto un uomo, che non è un malato terminale ma soffre bensì di depressione, la sua visione delle cose cambierà. 
Nel suo primo lungometraggio la Golino tocca un tema delicatissimo, quello del suicidio assistito: sarebbe bastato poco per farla cadere ma ne esce meravigliosamente, con una storia che punta diritto al cuore e alla mente del pubblico. 

domenica, ottobre 18, 2015

Suburra, l'altra faccia (reale) della grande bellezza (Stefano Sollima, 2015)


Il modo migliore, secondo me, per arrivare alla testa e alla coscienza delle persone è attraverso i film. Le notizie sono troppo analitiche, troppo contorte e spesso finiscono per stancarci: mostrare direttamente i fatti, soprattutto se spiacevoli, sbatterli in faccia a chi guarda con cruda violenza fa sì che restino impressi nella mente e che diano da pensare. 

Questo è quello che Stefano Sollima fa da sempre. Romanzo Criminale era una versione più romanzata e senz'altro più piacevole della realtà, con dei protagonisti per i quali non potevi far a meno di tifare anche se era chiaro dal primo secondo che tipi di persone fossero; ACAB mischiava un po' le carte: dei celerini ci venivano mostrati i problemi e le situazioni familiari che tutti potevamo comprendere, erano persone reali e non i cattivi contro i quali ciecamente puntiamo il dito, ma nonostante ciò nulla li portava ad esserci simpatici e le loro azioni non risultavano in alcun modo condivisibili, tutta la meccanica di ciò che facevano era soltanto dettata dal sadismo; con Gomorra si ritorna a una realtà dove i personaggi ci piacciono, le loro storie ci coinvolgono ma non c'è più niente di romanzato e piacevole: la realtà è cruda e brutta e violenta e a pagarne le spese sono le persone semplici che la vivono addosso ogni giorno. 

Suburra ricalca la scia di quest'ultima, se da spettatori ci piace e ci coinvolge, da italiani è un pugno nello stomaco e ci fa male.
Suburra nasce inizialmente dalla penna di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo nel 2013 e, alla luce dei fatti che oggi tutti conosciamo, sembra essersi tramutato in una profezia. Tutto ciò che vediamo nel film è finzione ma è reale, accade dietro le quinte da anni e continua ad accadere, anche se prima non lo sapevamo con certezza e adesso ne conosciamo una minima parte. Facendo 2+2 non è difficile ricondurre i personaggi ai fatti realmente accaduti: c'è il politico corrotto, il criminale che come un burattinaio manovra tutta Roma, il clan degli zingari e persino il presidente che si dimette e il papa che abdica (con tanto di clero coinvolto negli affari loschi della criminalità romana). 
È stato intenzionale da parte di Sollima il rimuovere tutti i personaggi positivi presenti nel libro e di lasciare soltanto quelli negativi: non c'è empatia per loro, li disprezziamo perché li conosciamo e ce li troviamo in televisione e sui giornali ogni giorno, la narrazione è imparziale ma non c'è nulla di buono da mostrare. Giocano una guerra interna e nascosta dove è la gente comune a subirne le conseguenze. Ma questi personaggi sono anche uno dei tanti punti di forza del film grazie agli attori che li interpretano, Favino su tutti che è sempre una garanzia.
Lo stile di Sollima è sempre sporco, inevitabilmente date le storie che racconta, ma sempre ricercato, raffinato ed elegante anche nelle sequenze più scomode. Ogni inquadratura è una visione a sé stante, la fotografia è cupa per rendere le atmosfere altrettanto cupe della storia ma talvolta è bucata da luci e colori brillanti, la colonna sonora è impeccabile come lo era già in Romanzo Criminale e Gomorra.

Roma è nera, sporca e decadente, spogliata di tutto il suo fascino ma più reale che mai. Niente intellettualismo, poesia, uomini di mezza età alla ricerca del senso della vita: La Grande Bellezza non è più così grande e neanche così bella. 

mercoledì, settembre 30, 2015

Sotto Una Buona Stella - Carlo Verdone, 2014


Raramente mi trovo a stroncare del tutto un film, vuoi perché non credo di avere gusti chissà quanto raffinati, vuoi perché cerco sempre di vedere qualcosa di buono anche in ciò che non mi ha colpita particolarmente. Ecco, adesso lo devo proprio dire: Sotto Una Buona Stella di Carlo Verdone fa veramente schifo. 
Un po' di trama (si fa per dire): l'azienda di cui è proprietario Verdone fallisce, la fidanzata cagacazzo lo lascia, la sua ex moglie muore e quindi i suoi due figli con cui lui non ha pressappoco nessun rapporto, Tea Falco e Lorenzo Richelmy, vanno a vivere da lui. La sua vita è un disastro, ma meno male che c'è la vicina di casa Paola Cortellesi ad allietargli le giornate.
Adesso, a me piacerebbe riuscire a salvare anche una minima cosa di questo film, una sola, ma fa davvero pena su tutti i fronti. Partiamo dalla regia: le riprese sanno di vecchio e sono fatte malissimo, c'è un abuso spropositato di primi piani che già sono brutti di per sé, se poi ci aggiungi anche lo zoom... caro Carlo, ma nessuno te l'ha detto che lo zoom sui primi piani non si usa più da vent'anni? L'illuminazione delle scene è pessima, sembra fatta con le lampadine a basso consumo manco fosse un film del Dogma 95 e il regista fosse Von Trier.


I personaggi non sono meglio, a partire dallo stesso Verdone. Il suo personaggio è proprio antipatico e per metà del film parla praticamente solo lui, sia con monologhi (che in realtà non sono monologhi, è proprio che non dà neanche il tempo agli altri di rispondergli) sia con la fastidiosa voce fuori campo di cui si poteva fare benissimo a meno nel 95% delle scene. La sua fidanzata è isterica e l'attrice proprio non ce la fa, mentre Tea Falco è tutto un caso a sé. Dopo averla vista in 1992, dove nessuno ha capito cos'abbia detto per tutte e dieci le puntate e dove l'arredamento era più espressivo di lei, non mi aspettavo chissà quale grande prova attoriale ma di certo non ero pronta a vederla piangere (senza riuscirci), a sentirla recitare poesie (senza riuscirci), a dialogare nientemeno che in inglese (devo ripeterlo?). E che dire della Cortellesi, che in genere riesce a farmi ridere anche quando non fa nulla, neanche lei raggiunge la sufficienza in questo film, poverina che ha fatto quel che poteva con una sceneggiatura del genere (tra l'altro prima di questo ho visto un altro film in cui lei è la protagonista, Scusate Se Esisto, molto carino e divertente). 

Ecco, parliamo della sceneggiatura: i tempi tra le battute sono terribili, non c'è un momento di silenzio in tutto il film, per non parlare dei tempi comici. Quanto è trita e ritrita la storia dell'uomo di mezz'età in crisi? Quanto non è divertente? Non c'è una sola scena nel film che mi abbia fatto ridere (consapevolmente, s'intende). Qualche esempio? Il malinteso che la Cortellesi sia in realtà una battona (ma che davvero?), Verdone che scambia la sua nipotina di colore per un'altra bambina (perché le persone di colore sono tutte uguali, si sa), i frequenti siparietti sull'organo genitale maschile, come quello sull'eiaculazione precoce e quello dove la Cortellesi lo paragona a una penna biro, e Verdone svia la conversazione perché non sia mai che una controparte femminile parli di peni, per carità. Che ridere, davvero. 
Di film di Verdone ne ho visti pochissimi e non mi erano dispiaciuti granché, ma con questo film sembra esser rimasto alla comicità degli anni 90 e averla addirittura peggiorata. Gli conviene, come dice la Cortellesi nel film quando deve licenziare la gente, fare un passo indietro perché è una persona troppo competente, una risorsa troppo preziosa per quest'azienda (cit.). 

domenica, settembre 27, 2015

3 serie tv che probabilmente non state guardando ma che dovete assolutamente recuperare


Eccomi con un post diverso dal solito, non una recensione vera e propria ma una classifica e non sul cinema ma sulla televisione. Visto che è stato un anno un po' fiacco per le serie tv americane (o almeno io non ho trovato quasi nulla che mi coinvolgesse), ho pensato di consigliarvi tre serie tv partite l'anno scorso, e quindi ora alla loro seconda stagione, che non hanno ricevuto il giusto merito e che non potete assolutamente perdervi. 

1. You're The Worst 
You're The Worst va in onda in America su FX, rete "sorella" di Fox che negli ultimi anni si è distinta per aver prodotto comedy non esattamente convenzionali (ma ciò non significa che non siano belle, tutt'altro). I protagonisti sono Gretchen e Jimmy, che non riescono ad avere relazioni serie perché beh, sono due disastri su tutti i fronti. Sono tossici per chiunque gli stia intorno, distruttivi, senza un briciolo di amor proprio: ed è proprio per questo che insieme funzionano, decidono di provarci, a stare insieme, e invece di migliorarsi a vicenda il risultato è un disastro al quadrato. Sono i tipici personaggi egoisti e cinici che nella realtà vorresti schiaffeggiare, però sullo schermo vorresti essere loro perché sì, sono delle persone orribili, ma si divertono da matti. You're The Worst è divertente in una maniera insolita per le comedy, forse è più vicina ad un film indie ma senza mai scadere nella pretenziosità che spesso li caratterizza. Non ha l'ironia di un Parks & Recreation o il nonsense brillante di un Arrested Development ma riesce ad essere acuta e intelligente in un modo tutto suo. Una piccola perla che è partita senza pretese ma di cui non si può fare a meno. 


2. From Dusk Till Dawn: The Series
From Dusk Till Dawn è una serie tv prodotta e talvolta girata da Robert Rodriguez (che va in onda sulla su El Rey, emittente americana via cavo di sua proprietà che trasmette programmi destinati ad un pubblico latinoamericano), tratta da un suo film del 1996 dallo stesso titolo sceneggiato da Quentin Tarantino. Già da qui capite che siamo davanti a un mezzo capolavoro.
La trama è pressappoco quella del film, che si esaurisce con la prima stagione e prende una direzione tutta sua con l'inizio della seconda: protagonisti sono i fratelli Gecko, Seth e Richard, due rapinatori ricercati che per portare a termine un colpo devono oltrepassare la frontiera e raggiungere un bar in Messico. A questo scopo si ritrovano a prendere come ostaggi i componenti della famiglia Fuller: Jacob, un pastore vedovo, e i suoi figli Scott e Kate. Per mezzo c'è violenza à gogo, vampiri e tanto sangue. E c'è Santanico Pandemonium, che più gnocca di così non si può. From Dusk Till Dawn È UNA FIGATA, non saprei in che altro modo metterla: è scritta e girata da Dio, la fotografia è spettacolare (è tutto giallissimo) e il cast ci sta perfettamente, la chimica tra tutti gli attori è qualcosa di incredibile. Non capisco come mai non sia nell'olimpo delle serie tv, perché è davvero impeccabile - a volte un po' confusionaria, altre volte un po' lenta, ma comunque impeccabile. Se il filone grindhouse esiste ancora, riveduto e corretto, allora sicuramente From Dusk Till Dawn ne è un degno erede. 

3. Jane The Virgin
Jane The Virgin è probabilmente il più conosciuto tra i tre, in quanto va in onda sulla CW (no, non alzate gli occhi al cielo, non è come sembra) che è una rete principale e la protagonista, Gina Rodriguez, ha anche vinto un Golden Globe, ed è quella che si potrebbe tranquillamente definire una serie teen (di nuovo, via le facce schifate, non è come sembra). La Jane del titolo è una ragazza latinoamericana ventenne che cerca di sfondare nel campo della scrittura e a cui fin da piccola è stata inculcata l'idea del preservare la verginità fino al matrimonio, perché è ciò che Dio vuole e bla bla bla (da qui il The Virgin del titolo). Un bel giorno va a fare una visita ginecologica e la dottoressa, che non è nel suo momento migliore, la ingravida per sbaglio con lo sperma che avrebbe dovuto somministrare a un'altra paziente. E visto che la situazione non era già abbastanza assurda, il padre si rivela essere un uomo che Jane aveva già frequentato cinque anni prima.Ora, lo so. Lo so che vi state chiedendo cosa diamine abbiate appena letto e perché mai dovrei consigliarvi una cosa così assurda e piena di cliché adolescenziali fino al midollo. Ma la verità è che Jane The Virgin è una delle dramedy migliori al momento e forse una delle serie teen più belle mai prodotte, perché oltre ad essere letteralmente adorabile è anche divertentissima, più divertente delle comedy trite e ritrite che continuano a rifilarci da qualche anno a questa parte. I cliché delle serie teen, come ho già detto, ci sono tutti: il triangolo amoroso, la stronza che rende la vita della protagonista impossibile, la situazione familiare difficile, plot twist che rasentano l'assurdo, ma tutto ciò è stravolto e reinterpretato e arriva al pubblico come una ventata di aria fresca in un panorama di serie teen e quindi leggere, senza pretese, che sono tutte piatte allo stesso modo. Jane The Virgin ha tutto ciò che ci si aspetta da una telenovela (infatti è il remake di una telenovela venezuelana) ma che porta tutti gli elementi che la caratterizzano ad un livello superiore, risultando una consapevole parodia del genere. E poi, lo so che l'ho già detto, ma è adorabile. Provare per credere.

venerdì, settembre 11, 2015

Paper Towns, quello che poteva essere e quello che invece è stato (Jake Schreirer, 2015)


Quentin (Nat Wolff) e Margo (Cara Delevingne) sono vicini di casa (ma quanto ci piace il cliché delle finestre di fronte?) e da piccoli vivono insieme un'esperienza insolita: trovano un cadavere. Mentre Quentin rimane completamente impassibile davanti all'accaduto (come fa un bambino ad essere tanto cinico da rimanere impassibile davanti a un cadavere? Non lo so, chiedetelo a John Green), Margo si incuriosisce e comincia a indagare, perché Margo ama così tanto i misteri che finisce per diventarne uno (frase del film, non lo so, non fate domande). Crescendo, i due si allontanano, Margo diventa popolare e Quentin resta, senza tanti giri di parole, uno sfigato qualsiasi, ma si sente ancora legato a lei. Così, quando lei una notte si presenta nella sua camera e gli chiede di prestarle la sua macchina lui cosa fa? Io l'avrei mandata a fanculo, non solo non mi saluti più e ora vuoi anche la macchina, ma lui ovviamente accetta e l'accompagna. Margo si prende una "rivincita" sul suo ex fidanzato e sui suoi amici, aiutato dal povero Quentin che non capisce una mazza di cosa succeda (neanche io Q., non ti preoccupare), il tutto accompagnato dagli aforismi poetici di lei, che impartisce lezioni di vita come se avesse settant'anni e quindici nipoti. La mattina dopo, Quentin si sveglia con l'autostima a mille (lei l'ha baciato!!!!! Ve l'aspettavate?) e va tutto convinto a scuola solo per scoprire che lei è sparita. Puff. Perché lei è un mistero e bla bla bla. Neanche i genitori se ne fregano più di tanto, in fondo lei è un mistero e bla bla bla. 

Adesso, so che da come l'ho raccontato sembra quasi che io nutra un odio viscerale nei confronti di questo film, ma la verità è che tolta la trama assurdamente pregna di cliché che viene fatta passare come chissà quale novità, il film non è neanche tanto male e se non ci pensate su magari lo trovate anche carino. 

I due attori principali sono il motivo che mi ha spinto a vedere questo film (a parte tutta la pubblicità che è stata fatta): io adoro Nat Wolff, secondo me ha quell'aria un po' da nerd outsider ma che in realtà sotto sotto è il più stronzo di tutti, non lo so ma lo adoro e in Palo Alto mi piacque tantissimo. Cara Delevingne a me piace molto come persona, però qui l'ho trovata un po' fuori posto non perché sia una cattiva attrice, ma perché non credo sia adatta a questo genere di ruoli. Ha una voce e una mimica facciale che me la fanno immaginare più in una comedy che in un film più-o-meno drammatico dove interpreta la ragazza dei sogni di qualcuno (parliamo anche di quanto i suoi modi di fare la facciano somigliare a Emma Stone, vi prego. Lo vedo solo io?). 

Ogni tanto il film prova ad essere divertente ma risulta solo fuori luogo con l'aria generale del film, troppo seria da poter essere rotta con qualche battuta. È tutto costantemente in bilico tra drama, dramedy, teen, road trip e mystery e alla fine non funziona e basta, ciò che ne rimane è un film senza una vera identità. In alcuni punti però ha uno stile interessante, la voce narrante è quella di Quentin e credo che avrebbero potuto sfruttarla meglio, avrebbero potuto giocarci per rendere il suo punto di vista più personale e per portare il film sopra le righe, che così si prende decisamente troppo sul serio. Il film poteva essere meno pesante, più sarcastico e più fresco, è questa la sua vera pecca: ciò che accade è troppo per degli adolescenti, i fatti sono troppo assurdi, troppo sconnessi, troppo irreali. E così sono anche i personaggi, troppo pretenziosi, nel tentativo di renderli più profondi si appiattiscono e basta. Perché dovrebbero interessarmi se li percepisco tutti come estranei? Perché vanno tutti alla ricerca di Margo, cos'ha lei di tanto speciale che io non riesco a vedere? Non basta dirmi che Quentin è innamorato di lei per farmelo credere, anche io voglio innamorarmi di Margo e anche io voglio capire perché Quentin è così innamorato di lei da cercarla dappertutto. Però Margo è presentata come un mistero e bla bla bla, Quentin la idealizza basandosi praticamente sul nulla. Ora, so che John Green voleva tentare di smentire lo stereotipo, il trope della manic pixie dream girl, la ragazza dei sogni che esiste solo nella testa del protagonista, e forse in parte c'è anche riuscito, però i mezzi con cui l'ha fatto risultano vani e tutto l'insieme è un'occasione sprecata. Alla fine tutti realizzano che Margo è oh, soltanto una ragazza! Come tutte le altre! Incredibile, no? 
Io il libro di Paper Towns non l'ho letto, ma ho letto The Fault In Our Stars e Looking For Alaska che proprio non sono riuscita a finire, e Green a non scrivere personaggi che parlano come se fossero un indovinello su La Settimana Enigmistica proprio non ce la fa. È un mistero, è un uragano, è un miracolo, è una metafora, è viva, è morta, ritorna, sparisce, perché? non si sa. Insomma, che noia.
Paper Towns non è la solita cosa, glielo concedo, ma non sa neanche lui cosa vuole essere. Io non mi aspettavo nulla, però speravo in qualcosa di meno pretenzioso e più intelligente. Peccato. 

Se ti è piaciuto potrebbero anche piacerti...

  • The Fault In Our Stars (Jake Schreier, 2014);
  • The Perks Of Being A Wallflower (Stephen Chbosky, 2012)
  • The Spectacular Now (James Ponsoldt, 2013);
  • (500) Days Of Summer (Marc Webb, 2009). 

giovedì, settembre 10, 2015

Tag Cineclub poraccio con Barbie Xanax


Ho deciso di fare il tag postato sul Cineclub poraccio con Barbie Xanax, gruppo su Facebook dove si parla di cinema e altro, tutto sotto la benedizione della nostra guida spirituale Barbie Xanax. ♥

1. "Il film che segretamente ami ma di cui ti vergogni".
Io amo tutte le commedie romantiche, in particolare The Proposal (Ricatto D'Amore). The Proposal è un capolavoro. Amo anche tutti quei film smielatissimi natalizi, del genere che danno a dicembre nel pomeriggio di Italia Uno. Non giudicatemi. 

2. "Il film che tutti idolatrano ma che tu hai odiato" 

Odiare è una parola grossa ma mi viene in mente solo Elysium che non mi è piaciuto molto :(

3. "Il film che ti vergogni di non aver visto"

Ci sono una marea di film che mi sotterrerei per non aver visto, non finirei più di rispondere. Diciamo che la maggior parte dei classici e dei cult che durano più di due ore probabilmente non li ho visti. 

4. "il film più malato che hai visto" 

Salò di Pasolini. Se la vostra risposta non è Salò vi sto giudicando. 

5. "Un film che avresti voluto vedere ma alla fine non hanno fatto più"

Qui copio spudoratamente Barbie Xanax e dico che ho assolutamente bisogno del film di Invisible Monsters. 

6. "miglior film da vedere in compagnia?"

Tutti gli horror sono da vedere in compagnia, prendere per il culo i protagonisti è metà del divertimento.

7. "miglior film da vedere da soli?"

Big Hero 6, perché così puoi piangere fiumi di lacrime senza essere giudicata (io l'ho visto al cinema ma ciò non mi ha trattenuta)

8. "un Film che ti ha segnato l'infanzia"

Kill Bill, tra gli altri. Che trauma. 

9." film di cui non hai mai visto l'inizio o la fine"

Non credo di aver visto mai la fine di Gomorra, dovrei recuperare visto che Garrone è uno dei miei registi preferiti. 

10. "un film che ti ha influenzato da grande"

The Dreamers di Bertolucci, ha praticamente iniziato il mio amore per il cinema e ha influenzato la mia visione politica. 

11"Se la tua vita fosse un film, quale sarebbe?"

Un film adolescenziale trash anni 90 oppure un b-movie horror ancora più trash. 

12."un film che non ti ha lasciato Niente"
Inherent Vice (Vizio Di Forma) non mi è piaciuto, non capisco l'hype :/

13."un film che rivedresti ora"

Mine Vaganti, perché io rivedrei Mine Vaganti a prescindere. 

14. "un film che sconsiglieresti sempre"
Romeo + Juliet di Luhrmann. Scenografie molto carine ma è una cagata. 

15."al cinema da solo o in compagnia?"
I film si vedono da soli ma al cinema ci si va in compagnia, sennò non c'è sfizio. Paradosso. 

16."Che genere ti piace?"

Le commedie nere d'azione ♥ 

17."il film che ti ha fatto più piangere"

Toy Story 3 e Dragon Trainer 2.... io i pianti veri me li faccio solo per i film di animazione. 

18."un film da non guardare mai prima di andare a letto"

I film di Lynch perché non riuscirai a dormire nel tentativo di capire cosa cazzo significhino. Ovviamente invano. 

19."film da guardare abbracciati di fronte al caminetto"
Inglorious Basterds (Bastardi Senza Gloria). Questa è la mia idea di romanticismo.

20."quale film cancelleresti dalla storia"

Tutti i film comici italiani trashissimi degli anni 70-80. 

21."quale tra tutti i film salveresti per i posteri"

Mine Vaganti. Ops.

22.che film andresti a vedere oggi?

Sto morendo dalla voglia di vedere The Man From U.N.C.L.E. (Operazione U.N.C.L.E.). Guy Ritchie ti amo. 

23."qual è stato l'ultimo film che hai visto"

We Are The Night, un indie horror tedesco tutto al femminile, molto carino!

25."da quale sei fuggito prima della fine"

In genere i film li finisco sempre, anche se a intervalli di mesi o addirittura anni...

26."il finale che non ti saresti mai aspettato"

Il finali de Il Postino, quello con Troisi, e di Dead Poets Society (L'Attimo Fuggente) mi hanno fatta rimanere davvero di merda. 

giovedì, agosto 20, 2015

In Bruges tra sogno, azione e commedia (Martin McDonagh, 2008)


In Bruges è il primo lungometraggio di Martin McDonagh (poi regista di Seven Psychopaths, uno dei miei film preferiti in assoluto) ed è un film atipico, oserei anche dire un po' strano. Dovrebbe essere un crime ma è anche un po' un thriller ed è sicuramente drammatico, però è senz'altro anche una commedia nera. 

La Bruges del titolo è una cittadina belga che sembra uscita da una fiaba (come ci ricordano spesso i personaggi), cittadina nella quale il protagonista Ray (Colin Farrell) e il suo collega Ken (Brendan Gleeson), due sicari, vengono mandati dal loro capo Harry (Ralph Fiennes) per un incarico che non gli è stato ancora comunicato. Ray è tormentato dal passato: durante uno dei suoi lavori ha erroneamente ucciso un bambino e non riesce a perdonarselo, tanto da pensare continuamente al suicidio.

Ci sarebbero tutte le carte in tavola per uno di quei drammoni introspettivi... e invece no, perché In Bruges è anche un film drammatico ma non è pesante, non annoia con la psicologia del sicario tormentato, non pretende di far pensare. In Bruges non esagera ma dosa perfettamente vari generi, nessuno prevale sull'altro ma ognuno è espresso al suo meglio. La sua ironia è inappropriata, amara, nera per l'appunto, così che il film non si perda nella mediocrità delle commedie d'azione di cui i cinema sono pieni. I dialoghi sono assolutamente brillanti, non sono mai forzati o sottotono ma calzano alla perfezione, dai monologhi del protagonista a qualsiasi conversazione che comprenda il personaggio di Ralph Fiennes, che in questo film è un gradino sopra ogni cosa (ma non lo è sempre, in fondo?). 

Leggendo i commenti che si trovano online, c'è chi l'ha definito "il film che Guy Ritchie ha sempre voluto fare ma che non gli è mai riuscito" oppure "il film che neanche Tarantino sarebbe riuscito a scrivere meglio": In Bruges è diverso da qualsiasi cosa che io abbia mai visto ed è per questo che è fantastico, è una perla in un mare di film che si somigliano tutti tra di loro, non potete assolutamente farvelo scappare. 

Se ti è piaciuto potrebbero anche piacerti...
  • Seven Psychopaths (stesso regista, 2012);
  • Reservoir Dogs (Quentin Tarantino, 1992);
  • A Fish Called Wanda (Charles Crichton, 1988);
  • Kiss Kiss Bang Bang (Shane Black, 2005)


lunedì, agosto 10, 2015

The Duff, oppure: come desiderare di essere una sfigata (Ari Sandel, 2015)


Quante commedie romantiche per adolescenti abbiamo visto dove la protagonista era una sfigata in piena regola e l'atleta belloccio di turno si innamorava di lei, tra lo stupore di tutti i loro compagni e la nostra speranza che qualcosa di simile, un giorno, sarebbe potuto capitare anche a noi? 

I tempi, però, sono cambiati: gli atleti sono sempre atleti e i nerd sono sempre nerd ma, da qualche anno, sono questi ultimi a detenere lo scettro nei prodotti cinematografici e televisivi. Basti pensare a tutte le commedie e ai telefilm che guardiamo e ai personaggi con cui ci relazioniamo. Ormai non vogliamo essere come i personaggi che consideriamo belli, atletici, invidiati da tutti: vogliamo essere strani, divertenti, sfigati. Vogliamo essere noi stessi, perché essere noi stessi è meglio che essere uno stereotipo. 

Be the best weirdo you can be: questo è, in sostanza, il messaggio di The Duff (tradotto in italiano con il complicato titolo di L'A.S.S.O. Nella Manica), che prende la storia trita e ritrita dell'atleta e della sfigata e la stravolge, tenendo conto di come funzionano adesso le dinamiche tra adolescenti. Oggi la conoscenza della cultura pop non è più da outsider, non è insolita, ma è un vanto da sbandierare. I social network non sono cattivi se li si sa usare (Cyberbully popola ancora in miei incubi, di tanto in tanto) e sono all'ordine del giorno; il film gioca molto sull'utilizzo di questi, infatti all'inizio ci viene proposta una carrellata di hashtag per aiutarci ad inquadrare i personaggi in fretta. Semplice ma efficace.  


La trama non brilla di certo per originalità: Bianca (interpretata dall'adorabile Mae Whitman) è intelligente, divertente, sarcastica e decisamente nerd. Le sue migliori amiche sono belle e volute dai ragazzi, tutto ciò a cui una come Bianca dovrebbe aspirare. Una sera, Wes (Robbie Amell), suo vicino di casa e giocatore di football più popolare della scuola, le fa notare che lei è una DUFF (Designated Ugly Fat Friend): in poche parole, è l'amica sfigata il cui unico scopo è far risaltare le altre amiche, più belle e in gamba. Lei, chiaramente, non la prende bene e quindi chiede a Wes di aiutarla a scollarsi quest'etichetta da dosso e a conquistare Toby, l'archetipo dell' hipster, per il quale ha una cotta. Come da manuale c'è anche la basic bitch, Madison (interpretata dalla dea terrestre Bella Thorne), ex di Wes decisa a riconquistarlo. Il resto potete immaginarlo.

Ciò che è fresco e travolgente è il modo in cui la storia è posta: Bianca è awkward, è una ragazza normale, ma Bianca non ha bisogno di cambiare perché è già fighissima così com'è, e infatti il ragazzo lo conquista senza cambiare di una virgola. E, raramente succede in questo genere di film, tutto ciò è credibile: non c'è motivo per cui Wes non dovrebbe innamorarsi di Bianca, perché Bianca è fantastica anche senza essere bella o talentuosa, senza essere nulla di speciale. Siamo tutte, e qui includo anche me stessa, un po' lei.

Wes non è il ragazzo perfetto, semplicemente perché adesso la definizione di ragazzo perfetto non vede più lo stereotipo dell'atleta bello e popolare quanto quello del ragazzo sensibile, artistico, magari anche con gli occhiali e che indossa soltanto polo e maglioni. E la relazione tra Wes e Bianca è prima di tutto un'amicizia, dove entrambi sono liberi di essere ciò che vogliono al di fuori di quello che lo stereotipo della commedia teen americana ha imposto con gli anni. 
E, come se non bastasse, tutto il film è dannatamente divertente.

Insomma, se i soliti film adolescenziali vi hanno stancato, se vi mancano John Hughes e The Breakfast Club, se volete più Easy A e meno Cyberbully (scusatemi se lo menziono di nuovo, ma è sempre doveroso ricordare quanto faccia schifo) allora avete trovato un nuovo non-così-guilty pleasure.



Se ti è piaciuto potrebbero anche piacerti...

  • The Breakfast Club (1985) e Sixteen Candles (1984) di John Hughes, ma tutta la sua filmografia in generale;
  • Easy A (Will Gluck, 2010);
  • Pitch Perfect (Jason Moore, 2012)

martedì, giugno 23, 2015

Cos'è successo a Orange Is The New Black?


Ecco, mi piacerebbe poter dare una risposta a questa domanda, vorrei capire perché e come una serie che in due anni si è distinta per originalità e brillantezza nei contenuti sia riuscita ad appiattirsi in tal modo. Sia chiaro, la terza stagione di OITNB non è brutta: tra Neflix che è una garanzia e il cast che ormai conosciamo e che dà sempre il meglio sarebbe stato impossibile. Solo che non è neanche bella, bella come le due precedenti dove ogni episodio tirava l'altro e tra una risata e l'altra ti legavi alle protagoniste e facevi tuoi i loro problemi. Andiamo a vedere nel dettaglio, personaggio per personaggio e storyline per storyline, ciò che ho pensato di questi 13 episodi:




Piper/Stella: la nostra non-più-protagonista in questa stagione raggiunge i vertici dell'insopportabilità, per poi riscattarsi (si fa per dire) solo negli ultimi venti minuti della serie. È completamente impazzita, un momento vuole una cosa e quella dopo ne vuole un'altra, tutto ciò che fa non ha il minimo senso. Che Piper fosse egoista l'avevamo già capito ma qui non si tratta di egoismo, ma di pura e semplice scrittura debole. Il suo business delle mutande, poi, era un qualcosa che potevano decisamente risparmiarsi.
Ruby Rose è gnocca sì, ma Stella è il personaggio più insulso di tutto lo show e mi chiedo se davvero non potevano farne a meno.

Alex: la mia amata Vause è stato il personaggio più penalizzato in assoluto, ridotto a terzo elemento di un triangolo di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. La sua storyline non è stata sfruttata bene come sarebbe potuta essere, ma ciò non toglie che Alex sia stata uno dei pochi personaggi a Litchfield a non aver perso la ragione.

Daya/Aleida/Bennet: la storyline della gravidanza di Daya e della sua relazione con Bennet è stata la cosa più ridicola dell'intera stagione. Prima vuole il bambino, poi non lo vuole più, sua madre si mette in mezzo e non si capisce nulla, sembra di star guardando una telenovela argentina. Sappiamo che Daya non ha avuto la più rosea delle infanzie e che così sarà anche per il suo bambino, e sappiamo anche che Aleida è una pessima madre, adesso però possiamo andare oltre?
Ciò che mi ha fatto più innervosire è stata però l'immotivata dipartita di Bennet, completamente campata in aria. Non so se Matt McGorry avesse altri progetti e abbia dovuto accantonare la serie, non lo so e non mi interessa. Farlo scappare come un codardo è stata una scelta assurda e completamente out of character, che ha demolito senza alcun motivo il rapporto che si era creato tra Daya e Bennet, probabilmente l'unica relazione più o meno sana dell'intero telefilm.

Red/Healy: Red è la mia unica gioia perché è rimasta stabile come nelle due stagioni precedenti: è rimasta Red. Seppur priva di un vero nemico verso cui sfogarsi, il livello rimane sempre alto e ho trovato deliziosa (al contrario di molti) l'amicizia con Healy, sono contenta che entrambi abbiano qualcuno con cui parlare e che li possa capire. Riguardo a Healy, non sono ancora riuscita ad inquadrarlo: appena mi convinco che sia una brava persona fa qualche cazzata che mi fa ricredere, ma comunque non mi dispiace vederlo sullo schermo.

Pennsatucky/Big Boo: la sorpresa più bella di questa stagione è stata senza dubbio l'amicizia inaspettata tra Tiffany e Boo, che decidono di fare squadra superate le avversità delle stagioni precedenti. Boo finalmente esce dallo status di personaggio secondario ed è fantastica, mentre Tiffany si riconferma uno dei miei personaggi preferiti (sì, l'amavo anche quando era matta). Ho trovato un po' di cattivo gusto la scelta di inserire una violenza sessuale nel passato di Tiffany, mi ha dato l'impressione di essere motivata dal voler farla piacere al pubblico a tutti i costi, e sappiamo bene che OITNB sa fare meglio di così per farci amare un personaggio. Parlando della guardia (di cui non mi sono neanche disturbata ad imparare il nome), sono rimasta molto delusa dalla svolta improvvisa del personaggio. Lui e Tiffany avevano potenziale, ma sembra quasi che gli scrittori non siano capaci di scrivere un uomo senza trasformarlo in un codardo, un maniaco sessuale o una lagna umana (o tutti e tre nel peggiore dei casi).

Sophia e la famiglia ispanica: arriviamo ora a questa storyline che ha davvero dell'assurdo. Per due stagioni tutte hanno amato Sophia, è tutto filato liscio come l'olio... e ora provate a rifilarmi l'emarginazione e le violenze dovute alla sua transessualità? E tra le tante la sua carnefice è proprio Gloria? No, mi dispiace ma questa non mi è scesa. Si vede che non sono riusciti a costruire proprio niente di meglio ed è davvero un peccato. Per il resto Flaca è stata passabile, Maritza molto sottotono.

Caputo e il carcere: a me Caputo piace. È un buon uomo, uno che ci tiene e che fa tutto ciò che è in suo potere per migliorare le vite delle detenute. Ma era davvero necessario propinarci tutta la storia di come ha salvato Litchfield e poi se n'è pentito, dei suoi rapporti con Danny, delle vite di tutte le guardie? Non stiamo mica guardando House Of Cards. Se non considerassi il saltare le scene una cosa moralmente sbagliata avrei visto circa 1/4 del suo screentime totale.

Norma/Leanne/Soso: un'altra storyline che sfiora il ridicolo e assolutamente non necessaria. Norma odiosa come poche, Leanne dal passato particolare ma che comunque non la riscatta, Soso invece ha finalmente trovato un suo posto nella serie e sono contenta. Non sono mai stata una sua fan ma negli ultimi episodi mi è piaciuta.

La famiglia afroamericana: loro sono le vere stelle di questa serie per quanto mi riguarda. Poussey e Taystee finalmente (e anche un po' tristemente) distaccate che si ritagliano uno spazio vero e proprio: la prima molto sottotono rispetto alla stagione precedente ma comunque nel personaggio, la seconda che funge da collante, da mamma per tutte le altre ragazze del gruppo. Suzanne magnifica con il suo romanzo e con prima il rifiuto e poi l'accettazione della dipartita di Vee (l'attrice è immesa), mentre per Black Cindy ho scoperto un amore che non avrei mai pensato di provare.

I grandi assenti: un'altra cosa che ha fortemente penalizzato questa stagione è stata l'assenza di personaggi cardine nelle due precedenti e che personalmente io adoravo; Nicky viene portata in massima sicurezza nelle prime puntate e fa perdere molto a tutto il resto della stagione. La sua storyline non è stata delle peggiori e in un altro contesto l'avrei apprezzata, però non mi è piaciuto come hanno preso il rapporto tra lei e l'elettricista e rigirato la frittata (di nuovo). È facilmente deducibile che la prerogativa di questa stagione sia stata quella di distruggere i rapporti tra le detenute e gli uomini senza apparente motivo, evidentemente qualcuno nella writers' room si era alzato con la luna storta quel giorno; un'altra mancanza che si è fatta sentire prepotentemente è stata quella di Pornstache, irriconoscibile in un'unica scena durata pochi minuti. È una persona terribile ma era scritto in maniera impeccabile ed era la nota comica dello show, come si fa a non adorarlo?; la mancanza di Larry non è spiegata (o forse sono io che non la ricordo), era un personaggio abbastanza scialbo ma preferivo quando c'era: almeno Piper non sarebbe stata completamente allo sbando.

Una stagione altalenante, quindi, che è riuscita a tenere fede a ciò che aveva messo sul piatto nella stagione precedente in alcuni punti ma che ha fallito in altri. È innegabile che non abbia portato nulla di nuovo a ciò che già c'era ed è deludente se si tiene conto del livello a cui la serie ci ha abituati. Spero che la quarta serie (se ci sarà) non segni il declino inesorabile dello show, come è successo in altri casi: se devono farla per dare il colpo di grazia e rovinare definitivamente i personaggi, preferisco che la chiudano qui e mi lascino col bel ricordo di una serie che ha rivoluzionato la tv americana degli ultimi anni (anche se non tutte le ciambelle escono col buco).

lunedì, giugno 15, 2015

Le Fate Ignoranti - Ferzan Ozpetek, 2001


Alla lista dei film di Ferzan Ozpetek di cui ho parlato non potevo di certo farmi mancare Le Fate Ignoranti, che non è il mio film preferito del regista turco (quello è Mine Vaganti, lo sanno tutti) ma è sicuramente quello che considero il più bello in assoluto ed emblematico per tutta la sua opera. Ferzan (ormai mi prendo la libertà di chiamarlo per nome) non si smentisce mai ed ecco che crea un'altra meravigliosa storia d'amore, nel senso più stretto e intimo del termine, e sulla famiglia, nel senso più libero del termine. 

Antonia (Margherita Buy) e Massimo sono sposati felicemente da dieci anni; un giorno lui viene investito da un'auto e muore. Lei rimane sconvolta nello scoprire che, dietro un quadro (chiamato proprio "La fata ignorante") appartenuto al marito, vi è una dedica di un amante. Perché Massimo era omosessuale (o bisessuale, non è specificato) e la sua storia con Michele (Stefano Accorsi) proseguiva da più di sette anni, anni in cui conduceva una vita completamente diversa da quella che sua moglie conosceva. Quello che Antonia scopre non è solo un amante ma un mondo intero di cui non sapeva nulla, a partire dai personaggi che popolano l'appartamento di Michele e che Massimo considerava la propria famiglia. 

Michele è amareggiato a dir poco, è arrabbiato con Antonia che per sette anni ha avuto ciò che a lui era concesso vivere solo nell'ombra. È allo stesso tempo incuriosito dalla donna, l'unica persona che può condividere il suo dolore e che porta su di sé ciò che resta di Massimo. L'ostilità di Michele comincia a vacillare e Antonia gli va incontro, mentre la rassegnazione si fa strada in lei e con essa il desiderio di conoscere davvero quel marito che le sembra distante anni luce da quando era in vita. Michele e Antonia si scontrano, incapaci di vedere Massimo in ciò che descrive l'altro, e poi si incontrano, sviluppando una dipendenza reciproca dove nell'altro cercano l'uomo che entrambi hanno amato.

Stefano, a noi piace ricordarti così: mentre ti bombi due
uomini insieme invece delle showgirl di Tangentopoli.
Vedo questo film allo stesso modo di una poesia dedicata alla perdita di una persona cara, malinconico e struggente, delicato come il bicchiere di vetro che cade a terra e si rompe in mille pezzi ("Si dice che quando ti si rompe un bicchiere la persona che ami se n'è andata via"). A legare i versi di questa poesia è la presenza di Ernesto (Gabriel Garko, probabilmente nell'unico bel ruolo della sua carriera), membro della "famiglia" con una storia d'amore abusiva e irrisolta alle spalle e gravemente malato, prossimo alla morte (tema ripreso poi in altra salsa in Saturno Contro). 
Un film magico, tipico di Ozpetek, dove ogni cosa sembra essere nel posto giusto al momento giusto ma pronta a crollare, dove l'amore viene proposto in tutte le sue sfumature e dove si fonde, si trasforma, perché è impossibile racchiuderlo in due personaggi, in una storia, in un'etichetta. 

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lunedì, giugno 01, 2015

Mr. Robot è una bomba ed è pronto ad esplodere


Quando si tratta di storie, che siano esse film, telefilm, libri o fumetti, io ho due punti deboli: lo spionaggio e l'hacking. Datemi qualcosa che abbia a che fare con ciò e c'è il 99% di possibilità che lo adorerò. 


Mr. Robot è un telefilm, il primo che recensisco su questo blog, che parte su USA Network il 24 giugno ma il cui pilot è già stato diffuso online dal canale stesso e che cade nella seconda categoria, ovvero quella dell'hacking (anche se non escludo, anzi sono quasi certa che presto metteranno in pentola anche la parte spionistica). 

Protagonista è Elliot, interpretato dal bravissimo ma poco considerato Rami Malek, di giorno programmatore in un'azienda di sicurezza informatica e di notte una sorta di hacker vigilante, affetto da un disturbo dell'ansia e da depressione cronica. Si intuisce che Elliot stia lavorando a qualcosa, non si capisce esattamente cosa: da un lato viene avvicinato da una misteriosa multinazionale che lui crede responsabile di pressappoco ogni cosa che succede nel mondo, dall'altro viene reclutato dal leader di un gruppo di hacker anarchici che gli promette una rivoluzione. 
In generale una produzione ambiziosa per USA Network, che ci ha abituato a procedurali leggeri, carini per passare il tempo ma non esattamente brillanti. La prima impressione è quella di trovarsi piuttosto di fronte a un prodotto di casa Nexflix, anche se la strada da fare è ancora tanta.

Leggendo altri commenti ho riscontrato che non è stata solo una mia impressione che ci fosse un certo citazionismo non proprio implicito a David Fincher, soprattutto visivamente, cosa che non posso non apprezzare. Le atmosfere ricordano inevitabilmente quelle della trilogia Millennium di Stieg Larsson (adattata cinematograficamente in una trilogia svedese e in un film proprio di Fincher) e le analogie tra Lisbeth Salander ed Elliot, entrambi vigilanti solitari, non potrebbero essere più chiare; a qualcuno in giro per l'internet ha ricordato anche Fight Club e, pensandoci, qualche elemento del libro cult di Palahniuk portato poi al cinema da Fincher c'è. 

Elliot si presenta da subito come un soggetto particolare, fin dall'inizio dove dichiara di "non poter credere di star parlando da solo": il suo disturbo dell'ansia non è sottinteso come spesso capita in questo genere di storie ma è esplicitato dal personaggio stesso (in quanto voce narrante) e non è affatto ingombrante pur essendo un tratto delinenante, anzi è interessante e caratterizzato molto bene anche grazie al linguaggio corporeo di Malek. 
Il tutto ha un'accezione vagamente fumettistica, a partire dal nome dello show (che, lasciatemelo dire, è un po' brutto) al nome della società contro la quale Elliot combatte, la Evil Corp (un gruppo di cattivoni chiamati Evil, davvero? Non siete proprio riusciti a pensare a niente di meglio?).  

Se siete fan del genere Mr. Robot è, in due parole, una figata pazzesca. È partito alla grande e può continuare su questa strada, sviluppando una trama orizzontale epica, oppure possono riempire quest'ora settimanale di storyline pompose e confusionarie e farlo scadere nella cagata colossale: ce lo dirà solo il tempo. Intanto il pilot mi ha entusiasmata come pochi ultimamente, speriamo che non lo cancellino subito... d'altronde nessun telefilm dura se Christian Slater è nel cast.

Edit: sono stata informata che il regista di Mr. Robot è Niels Arden Oplev, lo stesso del primo capitolo svedese della trilogia Millenium. Direi che spiega molte cose. 

Se ti è piaciuto potrebbero anche piacerti...
  • la trilogia Millennium di Stieg Larsson, trasposta in tre film svedesi con Noomi Rapace nel 2009 e in un remake americano dal titolo The Girl With The Dragon Tattoo (David Fincher, 2011) con Daniel Craig e Rooney Mara;
  • Fight Club (1999) e The Social Network (2010) di David Fincher;
  • The Fifth Estate (2013, Bill Condon), film sulla vita di Julian Assange;
  • Person Of Interest (2011), telefilm distopico e spionistico;
  • Halt And Catch Fire (2014), telefilm che tratta temi d'informatica;
  • Arrow (2012) e Gotham (2014), telefilm dell'universo DC Comics. 

martedì, maggio 12, 2015

Il Nome Del Figlio - Francesca Archibugi, 2015


Trama: Paolo Pontecorvo (Gassmann) e Simona (Ramazzotti) sono in attesa del loro primo figlio. Durante una cena a casa di Betta (Golino) e Sandro (Lo Cascio), rispettivamente sorella e cognato di Paolo, dov'è presente anche Claudio (Papaleo), amico sin dall'infanzia, a causa di uno scherzo di Paolo verranno a galla vecchi rancori e questioni irrisolte.
Cast: Alessandro Gassmann, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti.

Uno dei commenti più frequenti che mi capita di leggere su internet riguardo ai film italiani belli è "questa è una delle poche eccezioni, il nostro cinema è morto". Certo, non c'è più lo splendore di una volta, non ci sono più Fellini, De Sica, Visconti; non ci sono più Risi e tutti i maestri della commedia all'italiana, tutt'oggi inarrivabili; non ci sono più gli attori magnifici e poliedrici che non hanno fatto solo la nostra, di storia, ma quella del cinema in generale.
Io sono dell'opinione che il nostro cinema non sia mai morto. Ammosciato, forse, ma sicuramente non morto: film di grande introspezione e commedie che si prendono gioco di ogni cosa esistono ancora per chi le sa cercare e apprezzare.

Tutto ciò per introdurvi al film di cui tratterò stavolta, Il Nome Del Figlio, che è classificato come commedia ma che chiamare tale sarebbe riduttivo; lungi, tuttavia, dall'essere un film drammatico, si trova da qualche parte nel mezzo.
Il soggetto è tratto da una pièce teatrale, precedentemente adattata cinematograficamente in Francia con il nome di Le Prènom (in italiano Cena Tra Amici), film che io ho amato dall'inizio alla fine e a cui associo dei bei ricordi, oltre ad essere una delle commedie più divertenti che io abbia visto. Potete quindi immaginare che le mie aspettative per questo remake italiano erano alle stelle, soprattutto dopo essere venuta a conoscenza del cast che, a parer mio, riunisce cinque dei più bravi attori che abbiamo e che io personalmente adoro.

Vi dirò che non è stato esattamente ciò che credevo: nonostante le tantissime somiglianze con la versione francese (la trama non cambia di una virgola e alcune battute sono prese pari passo), i due film nell'essenza sono infinitamente diversi, essendo ovviamente specchio di due società diverse. Le Prènom è una commedia a tutti gli effetti, tipicamente francese, dove una serie di equivoci innescano delle situazioni a dir poco esilaranti. Il Nome Del Figlio, invece, dà vita alla una versione molto più elegante della stessa storia, creando un film uguale ma completamente nuovo: si dà più spazio ai rapporti tra i personaggi, parte della stessa società che criticano, ed è tutto velato da una nostalgia che ricorre dalla prima scena all'ultima, grazie ai flashback che ci mostrano i protagonisti in età adolescenziale e ci aiutano a comprendere perché si comportano in quella maniera (quasi un parallelismo dell'elicottero telecomandato che è in giro per tutta la durata del film e ci offre delle inquadrature alternative, guidato dai bambini) . I personaggi si muovono in uno degli appartamenti più belli che io abbia visto in un film, pieno di citazioni a partire dalle decine di libri sparsi dappertutto ai poster di Frida Kahlo, Star Wars e Marie Antoinette di Sofia Coppola appesi ai muri. Qui tutte le tensioni irrisolte e accumulatesi nel corso degli anni cominciano a sciogliersi con non pochi drammi e con qualche risata occasionale, per convergere in un lieto fine che se non ci fosse stato non avrebbe reso possibile la categorizzazione di questo film come commedia.

Avendo visto e amato la versione francese non posso dire che il cast sia perfettamente azzeccato, ma funziona. Il personaggio di Valeria Golino è più una casalinga nevrotica che un'insegnante, lei si ritrova succube della bravura degli altri attori e quando sembra stia ingranando, il film è quasi alla fine. Alessandro Gassmann si riconferma bravissimo e uno dei miei attori preferiti in assoluto (oserei dire un Mostro, proprio come suo padre), il film è praticamente suo e il suo personaggio è quello che mi è piaciuto di più, miglior amico e miglior nemico del personaggio di Luigi Lo Cascio, un altro attore italiano che apprezzo tantissimo e che qui porta in scena lo stereotipo (ma neanche tanto) dell'intellettuale di sinistra che predica bene e razzola male. Tra l'altro, i due hanno una chimica incredibile e le loro interazioni sono deliziose (vi invito ad osservarli anche quando la scena non è incentrata su di loro e interagiscono sullo sfondo). Bravo come al solito anche Rocco Papaleo, ma la vera perla di questo film è Micaela Ramazzotti, svampita e un po' burina, che rappresenta il punto di vista "esterno": non è acculturata, non è ricca di famiglia ed è decisamente il personaggio più genuino tra tutti.


Un po' merito dell'appartamento, un po' merito della sceneggiatura decisamente sopra le righe, un po' merito della bravura degli attori, per tutta la sua durata non sembra di star guardando un film ma un vero e proprio spettacolo teatrale - cosa che può piacere o meno ma che io ho adorato, così come ho adorato il film. Non bisogna essere a tutti i costi originali, osare nelle provocazioni o avere un budget stellare. A volte basta davvero poco: delle belle ambientazioni, un buon testo da cui partire, una regia pulita e incalzante e un cast che sa il fatto suo.
Vi lascio qui una delle scene più belle del film:



Nota: a tutte le persone che hanno detto "sì ma è una copia!!!1 Noi italiani siamo buoni solo a copiare!1!!1": siete scemi. Non so come altro metterla, davvero.

Se ti è piaciuto potrebbero anche piacerti... 

  • chiaramente Cena Tra Amici (Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, 2012), di cui questo film è remake; 
  • I Nostri Ragazzi (Ivano De Matteo, 2014) per la serie "borghesi italiani con problemi" e l'accoppiata Gassmann-Lo Cascio; 
  • Il Capitale Umano (Paolo Virzì, 2014) sempre per la stessa serie; 
  • 18 Anni Dopo (Edoardo Leo, 2010), a metà tra drammatico e commedia.