Suburra, l'altra faccia (reale) della grande bellezza (Stefano Sollima, 2015)
Il modo migliore, secondo me, per arrivare alla testa e alla coscienza delle persone è attraverso i film. Le notizie sono troppo analitiche, troppo contorte e spesso finiscono per stancarci: mostrare direttamente i fatti, soprattutto se spiacevoli, sbatterli in faccia a chi guarda con cruda violenza fa sì che restino impressi nella mente e che diano da pensare.
Questo è quello che Stefano Sollima fa da sempre. Romanzo Criminale era una versione più romanzata e senz'altro più piacevole della realtà, con dei protagonisti per i quali non potevi far a meno di tifare anche se era chiaro dal primo secondo che tipi di persone fossero; ACAB mischiava un po' le carte: dei celerini ci venivano mostrati i problemi e le situazioni familiari che tutti potevamo comprendere, erano persone reali e non i cattivi contro i quali ciecamente puntiamo il dito, ma nonostante ciò nulla li portava ad esserci simpatici e le loro azioni non risultavano in alcun modo condivisibili, tutta la meccanica di ciò che facevano era soltanto dettata dal sadismo; con Gomorra si ritorna a una realtà dove i personaggi ci piacciono, le loro storie ci coinvolgono ma non c'è più niente di romanzato e piacevole: la realtà è cruda e brutta e violenta e a pagarne le spese sono le persone semplici che la vivono addosso ogni giorno.
Suburra ricalca la scia di quest'ultima, se da spettatori ci piace e ci coinvolge, da italiani è un pugno nello stomaco e ci fa male.
Suburra nasce inizialmente dalla penna di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo nel 2013 e, alla luce dei fatti che oggi tutti conosciamo, sembra essersi tramutato in una profezia. Tutto ciò che vediamo nel film è finzione ma è reale, accade dietro le quinte da anni e continua ad accadere, anche se prima non lo sapevamo con certezza e adesso ne conosciamo una minima parte. Facendo 2+2 non è difficile ricondurre i personaggi ai fatti realmente accaduti: c'è il politico corrotto, il criminale che come un burattinaio manovra tutta Roma, il clan degli zingari e persino il presidente che si dimette e il papa che abdica (con tanto di clero coinvolto negli affari loschi della criminalità romana).
È stato intenzionale da parte di Sollima il rimuovere tutti i personaggi positivi presenti nel libro e di lasciare soltanto quelli negativi: non c'è empatia per loro, li disprezziamo perché li conosciamo e ce li troviamo in televisione e sui giornali ogni giorno, la narrazione è imparziale ma non c'è nulla di buono da mostrare. Giocano una guerra interna e nascosta dove è la gente comune a subirne le conseguenze. Ma questi personaggi sono anche uno dei tanti punti di forza del film grazie agli attori che li interpretano, Favino su tutti che è sempre una garanzia.
Lo stile di Sollima è sempre sporco, inevitabilmente date le storie che racconta, ma sempre ricercato, raffinato ed elegante anche nelle sequenze più scomode. Ogni inquadratura è una visione a sé stante, la fotografia è cupa per rendere le atmosfere altrettanto cupe della storia ma talvolta è bucata da luci e colori brillanti, la colonna sonora è impeccabile come lo era già in Romanzo Criminale e Gomorra.
Roma è nera, sporca e decadente, spogliata di tutto il suo fascino ma più reale che mai. Niente intellettualismo, poesia, uomini di mezza età alla ricerca del senso della vita: La Grande Bellezza non è più così grande e neanche così bella.
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