ottobre 2015

giovedì, ottobre 29, 2015

5 film italiani contemporanei da guardare su Netflix


Potevo mai farmi mancare il primo mese gratuito di Netflix, da vera #poraccia quale sono? Certo che no, sono corsa a spulciare il catalogo e nonostante per ora non sia ancora molto fornito, ci sono tanti film che vale davvero la pena vedere. Si vai da film indie americani ai film d'autore anche europei (ho notato roba di Von Trier, Vinterberg e Refn) e c'è anche una discreta quantità di film nostrani. Questi sono quelli che io ho già visto e che vi consiglio.

1) ACAB - All Cops Are Bastards (Stefano Sollima) ½
Di ACAB ne ho già parlato superficialmente nella recensione di Suburra e se non si fosse già capito va assolutamente visto perché Sollima è uno dei migliori registi del panorama italiano al momento, nonostante io creda che renda molto di più quando gira serie tv (Gomorra, Romanzo Criminale) perché ha tutto il tempo di sviluppare i personaggi e di farli interagire tra loro. 
Il film si incentra su tre agenti antisommossa interpretati da Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro e Marco Giallini e sulla nuova recluta, interpretata da Domenico Diele, che si ritrova a fare i conti con la violenza del suo nuovo posto di lavoro. Ci viene mostrata la loro quotidianità e vita familiare fatta di situazioni svariate e pesanti dove l'unico sfogo è appunto un lavoro fatto di rabbia e aggressività. 
ACAB non mi ha entusiasmata quanto gli altri lavori di Sollima ma sia chiaro, il livello è sempre altissimo: la regia è curatissima e i personaggi così credibili da essere detestabili. Citando una recensione che ho letto: se alla fine vi ritrovate a tifare per loro, dovreste farvi al più presto un esame di coscienza. 

2) Il Divo (Paolo Sorrentino) ½
Sorrentino non ha bisogno di presentazioni. Il Divo non è altro che la storia di Giulio Andreotti, interpretato da un magnifico Toni Servillo, il tutto coronato da scenografie e riprese bellissime. Insomma, veramente volete dire di no a Sorrentino?

3) Reality (Matteo Garrone) ½
Ormai neanche più Garrone ha bisogno di presentazioni: partito con film che hanno suscitato poco interesse di pubblico e critica, è poi scoppiato con Gomorra ed ha raggiunto l'apice quest'anno con Il Racconto Dei Racconti. Reality si trova in mezzo a questi due ed è anche il mio preferito in tutta la filmografia di Garrone se non uno dei miei film italiani preferiti in assoluto.
Un uomo napoletano decide di tentare la fortuna partecipando alle audizioni per il Grande Fratello: da lì si convince che i produttori del programma lo stiano seguendo e spiando dappertutto e ne diventa così ossessionato da mandare la propria vita a rotoli. Una riflessione profonda sul come la fama e l'apparire ci condizionino in qualsiasi cosa, con quel pizzico di ansia e inquietudine di cui Garrone non sa proprio fare a meno (e che a me piace tanto).  

4) È Stato Il Figlio (Daniele Ciprì) 
È Stato Il Figlio è una tragicommedia carinissima ambientata a Palermo negli anni 70, tratto da una storia realmente accaduta. 
Una bambina viene colpita erroneamente da un proiettile e muore. La famiglia, che economicamente non se la passa tanto bene, ottiene il risarcimento per le vittime di mafia e dopo varie peripezie decidono di investirlo in... una Mercedes, che porterà la famiglia alla rovina.
Io trovo lo stile di Ciprì davvero adorabile, per fotografia, scenografia e personaggi mi ricorda vagamente Wes Anderson: è tutto un po' sopra le righe, vintage e grottesco. E il personaggio principale è interpretato da Toni Servillo, che mi sembra da solo una ragione per vederlo.

5) Miele (Valeria Golino) ½
La protagonista di questo film è Jasmine Trinca, che sotto il nome di Miele aiuta i malati terminali con il suicidio assistito. Quando le chiederà aiuto un uomo, che non è un malato terminale ma soffre bensì di depressione, la sua visione delle cose cambierà. 
Nel suo primo lungometraggio la Golino tocca un tema delicatissimo, quello del suicidio assistito: sarebbe bastato poco per farla cadere ma ne esce meravigliosamente, con una storia che punta diritto al cuore e alla mente del pubblico. 

domenica, ottobre 18, 2015

Suburra, l'altra faccia (reale) della grande bellezza (Stefano Sollima, 2015)


Il modo migliore, secondo me, per arrivare alla testa e alla coscienza delle persone è attraverso i film. Le notizie sono troppo analitiche, troppo contorte e spesso finiscono per stancarci: mostrare direttamente i fatti, soprattutto se spiacevoli, sbatterli in faccia a chi guarda con cruda violenza fa sì che restino impressi nella mente e che diano da pensare. 

Questo è quello che Stefano Sollima fa da sempre. Romanzo Criminale era una versione più romanzata e senz'altro più piacevole della realtà, con dei protagonisti per i quali non potevi far a meno di tifare anche se era chiaro dal primo secondo che tipi di persone fossero; ACAB mischiava un po' le carte: dei celerini ci venivano mostrati i problemi e le situazioni familiari che tutti potevamo comprendere, erano persone reali e non i cattivi contro i quali ciecamente puntiamo il dito, ma nonostante ciò nulla li portava ad esserci simpatici e le loro azioni non risultavano in alcun modo condivisibili, tutta la meccanica di ciò che facevano era soltanto dettata dal sadismo; con Gomorra si ritorna a una realtà dove i personaggi ci piacciono, le loro storie ci coinvolgono ma non c'è più niente di romanzato e piacevole: la realtà è cruda e brutta e violenta e a pagarne le spese sono le persone semplici che la vivono addosso ogni giorno. 

Suburra ricalca la scia di quest'ultima, se da spettatori ci piace e ci coinvolge, da italiani è un pugno nello stomaco e ci fa male.
Suburra nasce inizialmente dalla penna di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo nel 2013 e, alla luce dei fatti che oggi tutti conosciamo, sembra essersi tramutato in una profezia. Tutto ciò che vediamo nel film è finzione ma è reale, accade dietro le quinte da anni e continua ad accadere, anche se prima non lo sapevamo con certezza e adesso ne conosciamo una minima parte. Facendo 2+2 non è difficile ricondurre i personaggi ai fatti realmente accaduti: c'è il politico corrotto, il criminale che come un burattinaio manovra tutta Roma, il clan degli zingari e persino il presidente che si dimette e il papa che abdica (con tanto di clero coinvolto negli affari loschi della criminalità romana). 
È stato intenzionale da parte di Sollima il rimuovere tutti i personaggi positivi presenti nel libro e di lasciare soltanto quelli negativi: non c'è empatia per loro, li disprezziamo perché li conosciamo e ce li troviamo in televisione e sui giornali ogni giorno, la narrazione è imparziale ma non c'è nulla di buono da mostrare. Giocano una guerra interna e nascosta dove è la gente comune a subirne le conseguenze. Ma questi personaggi sono anche uno dei tanti punti di forza del film grazie agli attori che li interpretano, Favino su tutti che è sempre una garanzia.
Lo stile di Sollima è sempre sporco, inevitabilmente date le storie che racconta, ma sempre ricercato, raffinato ed elegante anche nelle sequenze più scomode. Ogni inquadratura è una visione a sé stante, la fotografia è cupa per rendere le atmosfere altrettanto cupe della storia ma talvolta è bucata da luci e colori brillanti, la colonna sonora è impeccabile come lo era già in Romanzo Criminale e Gomorra.

Roma è nera, sporca e decadente, spogliata di tutto il suo fascino ma più reale che mai. Niente intellettualismo, poesia, uomini di mezza età alla ricerca del senso della vita: La Grande Bellezza non è più così grande e neanche così bella.